Secondo raduno nazionale di Critical Garden

Info e programma

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Speculazione tossica. Il video

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Nuovo parco xm24: liberiamo nuovi spazi di socialità

 

Cari abitanti della Bolognina,
oggi abbiamo deciso di riconsegnare al quartiere questo enorme piazzale
dietro all’ ex mercato ortofrutticolo colpevolmente lasciato
abbandonato a se stesso da ormai 10 anni. Nel corso degli anni in
questo "non luogo" è divenuto teatro di spaccio, bivacco a cielo
aperto per tossicodipendenti, stupri e morti di overdose di fronte alla
più completa indifferenza dell’amministrazione comunale. Sia chiaro che
questa non vuole essere in nessun modo l’ennesima vergognosa campagna
mediatica contro il "tossico" o l’immigrato spacciatore portata avanti
dalla destra fascista e razzista unicamente per motivi elettorali,
questa è un’assunzione di responsabilità da parte di uno spazio sociale
come XM24 per ridare vita e socialità ad un luogo sempre più pericoloso
e impraticabile divenuto il simbolo della desertificazione ambientale e
del degrado della dignità umana che non sono altro che i frutti della
speculazione edilizia esasperata di questi ultimi anni.

Dopo aver pulito una parte del piazzale da siringhe, cocci di vetro
e rottami inizieremo a costruire campi da gioco, orti e giardini
con l’aiuto e la collaborazione dei bambini di tutte le età che non
trovano spazi di socialità in questa parte della città.

La nostra vuole anche essere una denuncia pubblica del sindaco come
primo responsabile legale della salute pubblica nel territorio comunale
per aver colpevolmente lasciato degradare questo spazio impedendo di
fatto al camper delle unità di strada ed agli operatori di passare in
questa zona,per aver tagliato parte dei fondi destinati alle Unità di
strada ed al Drop-in di via Paolo Fabbri che è stato notevolmente
ridimensionato e militarizzato spingendo i tossicodipendenti a
nascondersi nei parchi pubblici e nelle zone dismesse come queste
mettendo a repentaglio la vivibilità e la salute pubblica di tutti i
residenti. Voi abitanti di via Gobetti sapete bene cosa succede tutto
il giorno in questo piazzale, vi basta guardare dalle finestre, ma
forse non sapete perché vengono proprio qui questi tossicodipendenti
quasi tutti non residenti a Bologna, se provate a chiedere loro il
motivo, vi risponderanno quasi sempre che non sanno dove altro andare
perché le forze dell’ordine li mandano qui. In tutta Europa sono attive
da anni decine e decine di "stanze del consumo sicuro" dove i
consumatori possono incontrare personale medico preparato per evitare
overdose e infezioni pericolose e magari iniziare percorsi di uscita
dalla dipendenza. Ovunque nel mondo siano state aperte queste strutture
sono diminuiti enormemente i reati di microcriminalità legati all’uso
di sostanze, sono praticamente sparite le siringhe abbandonate in
giardini o spazi pubblici e si sono abbassati sensibilmente i livelli
di infezione da HIV ed epatite tra gli utenti delle zone circostanti.
Questi dati scientifici inconfutabili sono a disposizione da anni del
sindaco e degli altri amministratori di ASL, Sert e ospedali del
territorio comunale, ma il Comune preferisce investire in forze
dell’ordine e repressione spostando il problema da una zona all’altra
della città, mentre scoppiano le carceri della nostra regione che hanno
raggiunto il 180% di sovraffollamento rispetto alla capienza
"ufficiale", primi in Italia in questa triste classifica.

Abitanti e frequentatori della Bolognina aiutateci a dire basta a questa
SPECULAZIONE TOSSICA che avvelena il nostro quartiere.

Ex Mercato 24
via Fioravanti 24
Bologna

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Video della presentazione di Ins*orti

Ecco il video della presentazione

Il video della presentazione è scaricabile in diversi formati qui

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Presentazione del libro “I giardini di Manhattan”

Collettivo CrepeUrbane – Collettivo Reflecsa – Associazione CampiAperti

Nell’ambito della mostra fotografica Ins*orti Crepe Fertili
23 gennaio-21 febbraio 2009

INVITANO

Martedì 17 febbraio alle ore 17,30
Urban Center
Sala Borsa – secondo ballatoio
Piazza del Nettuno 3, Bologna

Presentazione del libro di Michela Pasquali I giardini di Manhattan. Storie di guerrilla gardens (Bollati-Boringhieri, Torino, 2008)

Ne parleranno con l’autrice:

Beatrice Collignon (Facoltà di Lettere e Filosofia -Università di Bologna)
Matteo “Teo” Gattoni (Associazione QuattroCantoni, Roma – Progetto GustoNudo, Bologna)

"Il processo di creazione che ha dato vita a ciascuno di questi giardini non costituisce un’esperienza a sé e non è, in nessun caso, oggetto di mestiere; rientra invece tra le tante espressioni della quotidianità, come il modo di vestirsi, di parlare, di cucinare. Nei giardini, come nelle manifestazioni della vita di tutti i giorni, agisce infatti un medesimo tipo di rappresentazione, in cui un individuo si trova al centro di uno spazio, che costruisce e sviluppa come estensione della sua vita privata. Ogni giardino diventa il luogo possibile nel quale dare corpo a interpretazioni personali, al gusto del caos, alla follia di assemblaggi dettati da affetti, tradizioni, culti e credenze. Esso tende a configurarsi come territorio-possedimento, dove i segni dell’appropriazione fisica e simbolica si identificano con la disposizione di piante e fiori, con la scelta e la collocazione di oggetti. Questi elementi si compongono in sistemi originali, connotando spazi addomesticati che rivelano la mano e la proprietà del giardiniere".

Così Michela Pasquali descrive i numerosi giardini nati nelle aree abbandonate di Loisaida, un piccolo quartiere di Manhattan, nato alla fine dell’Ottocento per accogliere le grandi ondate di immigrati. Il libro ne racconta le origini, lo sviluppo, l’evoluzione nel corso di ormai più di trent’anni. Creati grazie all’iniziativa della comunità locale a partire dagli anni settanta, sono uno dei casi più interessanti di un inedito e patrimonio di verde urbano nascosto.

Completano il volume la prefazione “I giardini del Lower East Side” di Franco La Cecla e le postfazioni “Giardini della memoria” di Mario Maffi e “Giardini vernacolari” di Massimo Venturi Ferriolo.

L’autrice

Michela Pasquali, paesaggista e botanica, ha progettato giardini in Italia e negli Stati Uniti. Da diversi anni si dedica allo studio dei giardini spontanei, creati nelle aree abbandonate in ambienti urbani degradati. Ha vissuto quattro anni a New York, dove ha fotografato e studiato i community gardens di Loisaida, oggetto di questo libro. Il suo lavoro prosegue nella pagina web www.criticalgarden.com

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CampiAperti 2 / CrepeUrbane 3

E’ uscito il nuovo numero della rivista CrepeUrbane/CampiAperti

In questo numero

CampiAperti 2 [pdf]
– La xenofobia dei campi – Editoriale
– Agricoltura, biodiversità e libertà
– Due interviste sulla biodiversità
– Campi aperti in Piazza Verdi. Riflessioni a margine di una festa-mercato

Crepe Urbane 3 [pdf]
– La terra di città rende liberi – Editoriale
– Ins*orti / Crepe fertili – mostra fotografica a cura di Reflecsa, Urban Center Bologna
– Storia di un giardino critico in via Azzo Gardino

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Ins*orti – Crepe Fertili

Venerdì 23 gennaio alle ore 17,30 verrà inaugurata la mostra fotografica Ins*orti Crepe Fertili, presso l’Urban Center di Sala Borsa in piazza del Nettuno 3.

La mostra è costituita da un centinaio di scatti realizzati dal collettivo Reflecsa che è attivo nello Spazio pubblico autogestito XM24 (via Fioravanti, Bologna). Le immagini compongono un insolito atlante delle specie vegetali spontanee maggiormente diffuse sul territorio urbano bolognese; quelle che colonizzano le infinite crepe urbane, spesso minuscole e quasi invisibili, che fratturano muri e strade. Raggruppate nel percorso espositivo mostrano una parte di verde urbano non meno importante di quello “curato ed ufficiale”.

Nella serata verrà presentato il nuovo numero del giornale CrepeUrbane/CampiAperti. Anche questo numero è frutto della collaborazione tra il collettivo CrepeUrbane e l’associazione CampiAperti che organizza i tre mercati settimanali dei produttori biologici del territorio bolognese, fondati sulla filiera corta e sulla cooperazione tra produttori e consumatori. Questo numero del giornale affronta il tema della biodiversità, di come venga attuata e valorizzata dai produttori agricoli e ancora di giardinieri urbani anonimi e di verde pubblico. L’insieme di questi elementi ed esperienze diverse mette la terra, nella sua molteplice accezione di terreno, territorio e pianeta, al centro del ragionamento, dei propositi e delle attività che ne conseguono, con la consapevolezza di quanti e quali interessi economici e politici siano in gioco.

La serata si concluderà con un buffet di prodotti biologici dei mercati di CampiAperti e degustazione di vini di GustoNudo.
Chiusura ore 20.00

***

INS*ORTI CREPE FERTILI
Urban Center Bologna, 23 gennaio – 28 marzo 2008
Piazza Nettuno

Scarica la brochure [brochure_web.pdf]

Orari della mostra
lunedì 14.30-20.00
dal martedì al venerdì
10.00-20.00
sabato 10.00-19.0

***

EDIT: Una bibliografia su giardinaggio guerriglia, orti urbani e terzo paesaggio a cura di Sala Borsa

 

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[parlano di noi] Pomodori in città

da Carta, Anno X n.39

Un fenomeno che è letteralmente esploso in città grandi e piccole: gli orti urbani. Dove e come si fanno, come sono ostacolati o favoriti dalle amministrazioni, perché ridisegnano il paesaggio metropolitano di cemento. E cosa ci si coltiva

di Gianluca Carmosino

I DIRIGENTI DELLA BURPEE SEEDS, la più grande azienda statunitense di sementi, sono tra i pochi a osservare con tranquillità il crack della finanza globale. L’azienda ha venduto il doppio di semi rispetto ai primi mesi del 2007, proseguendo una crescita cominciata da un po’ di tempo. Ma perché sempre più persone si rivolgono ad aziende o reti di contadini che diffondono semi? A fare la differenza, alla Burpee Seeds ne sono convinti, è stata l’esplosione del fenomeno degli orti urbani, che, proprio come la crisi di Wall Street, si espande da New York e San Francisco a Londra, Parigi, Roma, Milano, e in città più piccole, in Italia, come Palermo, Genova, Firenze e Salerno.

Prezzi che salgono, caro petrolio, desiderio di verde e di cibo buono, volontà di dimostrare che è possibile recuperare spazi per stare insieme e per fare qualcosa contro i cambiamenti climatici [ad esempio azzerare il numero di chilometri che il cibo percorre prima di finire nel piatto] : ecco perché anche nei centri urbani sono in molti a prodursi da sé gli ortaggi.

La diffusione degli orti urbani, in epoca moderna, ha avuto inizio negli Stati uniti, a fine Ottocento, tra i meno ricchi: all’inizio del Novecento ogni famiglia, in media, coltivava un terzo del proprio cibo, percentuale che oggi si è ridotta a dell’ 1,5 per cento. In Italia, negli anni cinquanta, ancora la metà della popolazione produceva la maggior parte del cibo che consumava. L’aumento delle terre coltivate, abusive e non, così come il recupero di giardini quali spazi di incontro ed evasione – la distinzione tra orti e giardini urbani, spiega Michela Pasquali, architetto del paesaggio e botanica, è ambigua e fluttuante – segue l’andamento ciclico dell’economia e quello delle migrazioni dalle campagne ai centri urbani. E nel 2007, per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione urbana ha superato quella delle campagne.

Gli orti raccontano le comunità: negli Usa sono i «latini» a coltivare peperoncini e zucchine, gli asiatici preferiscono spinaci e verze. Nelle periferie di Roma, negli insediamenti del dopoguerra, si trovavano, e si trovano ancora, carciofi sardi, cavoli velletrani, peperoncini calabresi: lo dice uno dei pochi censimenti di orti urbani, curato dal Dipartimento delle politiche ambientali e agricole del Comune di Roma nel 2006. La capitale, per altro, è da poche settimane la prima città italiana a sperimentare il «Pick your ownn [prendi da solo]: alcune cooperative agricole, le cui aziende hanno sede a ridosso della città [come Agricoltura nuova], invitano i cittadini a raccogliere direttamente negli orti i loro prodotti bio a prezzi ridotti di un terzo.

Secondo l’antropologo-architetto Franco La Cecla, gli orti urbani hanno senso in quanto «lavorio ai fianchi» della città normalizzata: «Ivan Illich avrebbe detto che si tratta di diritto alla disoccupazione creativa – scrive nella prefazione de «I giardini di Manhattan» di Michela Pasquali – di spazi vernacolali che ripropongono nella vita della città un tipo di economia che è molto più vicina al valore d’uso che al valore di scambio».

Dati su questa economia assai poco soppesata dal Pil sono pochissimi, il censimento romano ha individuato 2.500 terreni, appezzamenti occupati compresi. Una delle aree con più orti è il Fosso di Bravetta: sessanta orti abusivi che il comune sta cercando di regolarizzare, sulla scia di quanto accade a Milano e Bologna, e in centri minori come Livorno,
Pesaro, Magenta, Segrate, Bresso [Mi], Orbassano [To], Alba [Cn], Voghera [Pv] e Savignano [Bo].

Una delle esperienze più interessanti sono i 180 lotti di via Toscanini, coltivati da altrettanti nuclei familiari a Reggio Emilia. «Per molti anni, buona parte di quella terra era rimasta abbandonata – racconta Matteo Incerti – Poi alcuni anziani hanno cominciato a coltivare e ora si avvicinano anche i giovani». Oggi anche l’amministrazione sostiene
gli orti. «Qui collaboriamo e scherziamo ogni giorno – dice Francesco, uno dei «contadini urbani» di Reggio – Coltivare l’orto è un modo per risparmiare e per stare insieme». «Chi ha questa passione – aggiun gè Remo – riesce a ottenere prodotti di prima qualità». Anche Annamaria è una delle pensionate di vìa Toscanini: per lei curare un orto significa «cibo buono e genuino».
Marina, che ha circa trent’anni e coltiva frutta e verdura in un angolo del suo giardino nel centro di Reggio, aggiunge: «L’autoproduzione consente di risparmiare, di fare del compost
[fertilizzante biologico, ndr.] domestico ma anche di scoprire una vera filosofia di vita».

«Crepe urbane» si chiama un foglio diffuso a Bologna da un collettivo del centro sociale «xm24», che si è formato un anno fa attorno al progetto Critical Garden per raccontare di orticultori in aree residuali e di «guerriglieri verdi» che riconquistano spazi pubblici.

Nel 2007 a Torino un bando pubblico ha assegnato 102 orti del Parco Sangone, con un’ampiezza media di cento metri quadrati ciascuno. A Milano ci sono le esperienze dell’associazione di produzione creativa e di scambio culturale AmazeLab, e quella del Leoncavallo, La Terra trema, rete di contadini urbani e vignaioli. «Green Island è il progetto che cerca di creare verde nel quartiere Isola – dice Claudia Zanfi di AmazeLab – Abbiamo dimostrato che è possibile avviare un laboratorio di partecipazione con i cittadini per organizzare il verde e gli orti urbani anche in un quartiere popolare e centrale». A Milano i cittadini che si occupano di orti urbani sono in buona parte coinvolti anche nei movimenti Criticai garden e Criticai mass [le gite protesta in bicicletta nelle strade urbane], e in quello più «formale» che promuove orti scolastici, come conferma Teodoro Margarita promotore di Ortidipace.org.

Ma o stesso accade negli Usa, con associazion come Green guerrillas di New York, Alice Griffith community garden di San Francisco, e poi Evergreen [Canada], Federation of city farms [Gran Bretagna] e Atelier La Balto, promossa da francesi ma Berlino. Negli Stati uniti sono riusciti a far pubblicare il «Manifesto del contadino urbano» sul New York Times Magazine e a organizzare nella citi spazi dove, tra mele, aiuole, pomodori, alberi broccoli, comunità di migranti e bambini organizzano feste all’aperto, a volte battesimi e matrimoni, di sicuro
per coltivare ortaggi e per giocare. Insomma, i cittadini romani di Bravetta e di via Toscanini a Reggio Emilia e i bolognesi di Crepe Urbane sono tra i tanti che hanno ripreso a zappare i gli orti delle città in tutto il mondo.

 

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Due tesi di laurea in Giardinaggio Critico – 2/2 – Il giardino metropolitano

Tesi di laurea di Novella de Giorgi in Sociosemiotica – Facoltà di Lettere e Filosofia, Bologna

Scarica la tesi in formato PDF

Riassunto sintetico

Attraverso un’analisi sociosemiotica del movimento Critical Garden, questo lavoro vuole in qualche modo contribuire a mettere in luce alcuni aspetti di questa realtà metropolitana che più direttamente si connettono al discorso sulla città in generale, e in particolare, alla relazione tra il tessuto urbano e i suoi abitanti.

In una prospettiva sociosemiotica, infatti, il senso non viene colto come dato a priori, come qualcosa che è già contenuto nel testo analizzato: la problematica della significazione si estende all’insieme delle pratiche con cui gli agenti sociali interagiscono tra loro e si relazionano con lo spazio, in altre parole, producono senso (Landowski, 1999). Non si tratta allora di comprendere “il significato” del movimento Critical Garden ma piuttosto di proporre alcune chiavi di lettura che hanno portato ad evidenziare principalmente due questioni, a nostro parere, molto rilevanti:

  • La possibilità non solo di immaginare altri modelli di città alternativi a quello dominante, ma anche di realizzarli concretamente. Si vedrà, infatti, come l’esplorazione tattica del territorio produca, per “contagio” tra individuo e ambiente, nonché tra individuo e individuo, concatenamenti di azione e passione, “situazioni costruite” da un attante collettivo che, di fatto, rimodellano dal basso il tessuto urbano. Nel momento in cui l’immaginazione e le aspettative individuali confluiscono nei flussi di moltitudini attive che attraversano le strade delle città, come pure le reti di internet, possono concretamente incidere sul territorio locale, e allo stesso tempo contaminare l’immaginario globale.
  • L’importanza di farsi spettatori del paesaggio che ci circonda per divenire attori consapevoli delle sue trasformazioni. A questo proposito, si vedrà come una sorta di pausa rispetto all’agire, una certa astrazione da un mondo che vuole essere a tutti i costi continuamente progettante e produttivo, ci può essere offerta da un “giardino critico” nel momento in cui esso si pone come un universo semantico inviluppante capace di invertire tutte quelle logiche di sradicamento che continuamente sottraggono il territorio urbano ai suoi abitanti e viceversa.
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Due tesi di laurea in Giardinaggio Critico – 1/2 – Sistema alimentare e pianificazione urbanistica

Tesi di laurea di Amir Djalali in Tecnica Urbanistica – Facoltà di Ingegneria di Bologna

Scarica in formato PDF

Riassunto sintetico

Nel 2025 più del 50% degli 8 miliardi di abitanti del mondo vivrà in
aree urbane. Nel prossimo futuro la disponibilità di cibo sarà uno dei
principali problemi che le città globali dovranno affrontare. L’attuale
sistema alimentare industriale, se da un lato ha permesso un aumento
della disponibilità di risorse alimentari, nel tempo si è dimostrato
energeticamente ed economicamente inefficiente, oltre a causare gravi
danni all’ambiente e alle società umane.

L’agricoltura urbana sembra superare alcuni limiti del sistema
alimentare industriale, essendo un’industria altamente adattabile a
diversi contesti, capace di liberarsi dalla dipendenza dei combustibili
fossili. Essa sfrutta efficientemente l’alta densità di risorse umane,
materiali ed energetiche presenti negli ambienti urbani.

Allo scopo di elaborare strategie per una organizzazione
dell’agricoltura urbana nel territorio comunale bolognese, si compie
una ricognizione della letteratura sul tema, integrando approcci differenti al problema. In seguito,
si analizzano le potenzialità fisiche, umane e politiche del territorio
bolognese, esplicitandone opportunità e minacce.

Le strategie che emergono per valorizzare l’agricoltura urbana
nel territorio bolognese sono principalmente misure di pianificazione
atte al riconoscimento, alla regolamentazione e all’incentivazione
delle attività di coltivazione
urbana in tutte le sue diverse forme, integrandole alle altre attività
urbane. Inoltre, emerge la necessità di realizzare di una rete di
servizi urbani per stimolare la partecipazione dei cittadini nei
processi alimentari urbani.

 

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